Storie di piante, pietre e persone.

“Ero rapito da Roma, ma naturalmente continuavo ad amare la Toscana. E il mio amore profondo della Toscana è Giotto. La campagna, la montagna, le città antiche sono Giotto. Tutto è riconoscibile nell’opera di Giotto. Quando faccio le mie passeggiate giornaliere e prendo i contatti con queste mezze montagne toscane, ritrovo questa struttura giottesca che contraddistingue il mondo toscano dalla parlata fino all’ultima pietra murata. Allora io amo la Toscana. Ho forse potuto raggiungere lo stesso amore a Roma? Ho forse potuto riferirmi all’opera di un suo artista e dire: ecco questa è la sostanza, l’essenza di Roma? Ecco a questo non sono arrivato. Sento che a Roma c’è una ricchezza di produzione infinita, c’è una tale abbondanza di forme e di spazi, e mi lascio affascinare… Ma non capisco.

Qui in Toscana mi basta un piccolo pezzo di bosco o una casettina della montagna per cogliere tutto quello che posso cogliere di sostanza formativa. Perché l’importante è ciò che entra e deposita. Ma tutto questo è traducibile in architettura? Ne dubito. Mi considero proprio un pover’omo di fronte a questi programmi. No, no, non posso avere grande sicurezza. È una passione, è un amore che nasce, è un sentimento religioso dell’architettura. Lo definisco così, arrivo a questo. Quando sono di fronte a un sasso, a un cipresso, a una stradina, a una casa che mi porta davanti Giotto, ecco allora io mi sento compiuto. Io sento che sono fatto di quella materia. Ecco mi ritrovo. Io architetto, solo in quel momento posso arrivare ad esprimermi, perché mi trovo nell’ambiente totalmente preso, solidale…”

Giovanni Michelucci

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